La storia di Michela, una mamma che ha affrontato la malattia con razionalità e delicatezza, testimonia l’importanza delle cure estetiche specializzate durante la terapia oncologica.

Quella di Michela non è una storia di trasformazione, non è una storia di autocompatimento, né di nostalgia, ma piuttosto un cammino di consapevolezza, forte come la sua razionalità e delicato come la sua presenza.

Michela non parla ad alta voce, scandisce le parole e le ricerca, perché la definizione di quanto le è successo va ricercata nell’intimità. 

E mentre parla si riesce a capire come la malattia possa riservare strani doni, non cercati, non voluti, ma che una volta ricevuti cambiano il modo con cui si guarda a noi stessi e alla vita, facendoci gustare attimi, presenze, ma anche riportandoci al nostro io più intimo, in quella aderenza primordiale che con gli anni è andata perduta, negli impegni, nelle responsabilità e nei pensieri di tutti i giorni.

Quasi a dirci fermati un attimo e ascoltati, tu sei qui, sei questo, non sei un sasso, sempre identico a se stesso, privo di percezioni e di emozioni. Tu sei una pianta, viva, che cresce, che affronta il cambiamento, che ha bisogno delle cure e del rispetto degli altri per rimanere in vita e dell’acqua e del sole per nutrirsi, e prosperare. E che può tornare ad essere più forte di prima, anche dopo una lunga siccità. 

Una bellissima pianta. Questa immagine, parafrasando il titolo del libro che Michela ha letto ai propri figli per fargli comprendere la malattia, è anche una metafora che suona bene, parlando di lei. 

Michela, come hai scoperto di avere un nodulo al seno?

Se ne accorse mio marito per caso. Avendo 43 anni al momento dell’accaduto non rientravo nello screening previsto dall’Ulss e non essendoci stato alcun caso in famiglia di tumore al seno, e ti assicuro che siamo una famiglia molto al femminile, non mi sono mai nemmeno preoccupata di fare un controllo preventivo.

Invece una sera, mentre stavamo scherzando, mio marito mi sfiorò il seno e sentì qualcosa di “strano”. Era un nodulo ed era evidente. 

Il giorno dopo andai dal medico di base che mi suggerì di andare subito al Pronto Soccorso all’Ospedale di Borgo Trento. Aveva capito che c’era qualcosa che non andava.

Lo si capisce subito, quando c’è qualcosa che non va. Lo si vede dallo sguardo dei medici, dal loro parlarti con delicatezza e dal prendersi cura di te. Una volta in pronto soccorso mi mandarono immediatamente alla Breast Unit, dove nel giro di qualche giorno eseguirono sia l’ecografia che l’agoaspirato al linfonodo. 

Uno dei momenti più difficili fu quando, il giorno successivo, mentre stavamo attendendo il referto, mi chiamò una nostra parente radiologa dicendomi che si trattava di un carcinoma.

All’epoca non conoscevo gli sviluppi del tumore al seno e non feci nessun’altra ipotesi che la peggiore. In quel momento mi congelai. Non sapevo delle alte percentuali di guarigione (le più alte) e quelle tre ore che mi separarono dall’arrivo in ospedale furono tra le più difficili.

Una volta arrivata però fui subito rassicurata. I medici mi dissero che se avessi seguito tutto il loro protocollo, che comprendeva sedute di chemioterapia, radioterapia e l’intervento di asportazione del carcinoma, sarei guarita. Sono sempre stati tutti molto positivi. 

A quelle rassicurazioni e a quelle parole mi sciolsi in un pianto, che fu uno dei pochi che mi sarei concessa in quei mesi. 

Poi, avvenne qualcosa di inaspettato. Mi asciugai le lacrime ed entrai in una sorta di razionale distacco: fu come raffreddarsi, lasciar fuoriuscire tutti i pensieri e iniziare a organizzare ogni cosa per affrontare la situazione: i bambini, le cure, l’intervento. 

Dissi a mio marito che dovevamo pianificare cosa avremmo dovuto fare: fu come riorganizzare un momento della mia vita, inaspettato, che alla fine mi avrebbe comunque traghettato dall’altra parte, sulla sponda della mia vita di sempre.

Come hai affrontato questo nella tua vita quotidiana e con i tuoi figli?

Subito ho pensato che dovevo comunicare loro che avremmo dovuto fare i conti con la malattia, che sarebbe stata dura, ma che ero fortunata perché li potevo anche rassicurare sulla mia guarigione. 

Avevo quindi la possibilità di parlare a loro della malattia come di un periodo particolare, difficile, che avrebbe però avuto una fine. Avrei potuto spiegargli che la mamma sarebbe tornata alla vita di prima. Questo è stato un grande dono.

Prima della malattia ero in una fase della mia vita in cui era importante riuscire a fare tutte le cose che una famiglia richiedeva. Crescere i miei tre figli, con età ed esigenze diverse, essere vicina a mio marito. 

Inoltre c’era il mio lavoro, che amo molto. Io sono un’insegnante di matematica e scienze, compito molto impegnativo soprattutto oggi, e avevo organizzato tutti i tempi della mia giornata per poter seguire tutto.

In quel momento però capii che dovevo pensare a come affrontare le cose diversamente.

Come hai scelto le parole per parlarne ai tuoi bambini?

Faccio una premessa: io decisi subito di farmi aiutare da tutti quelli che lo potevano fare. Quindi sfruttai tutte le risorse che l’ospedale mi mise a disposizione. 

Il medico chirurgo che mi operò mi parlò anche della possibilità di lavorare con una psicologa. Fu lei ad indirizzarmi.

I miei figli hanno reagito in maniera diversa. Ho detto loro sempre tutta la verità, ma progressivamente, facendomi appunto aiutare dalla psicologia. 

Al momento dell’intervento gli spiegai che la mamma sarebbe stata via per quattro giorni, che sarebbe venuta a casa la loro zia e i nonni e che poi mi sarebbero venuti a trovare. Mai mentire loro. Da insegnante lo so bene. Anche agli studenti non puoi mai mentire.

Inoltre, ho un marito che è un angelo caduto dal cielo che in questo mi è stato molto vicino, ci siamo sempre confrontati e aiutati tantissimo.

Con mia figlia più grande, che ha fatto la quarta elementare, ho affrontato la situazione spigandole bene cosa stesse succedendo. Con il mio secondo figlio, che all’epoca aveva cinque anni, ho deciso di spiegare la malattia attraverso un libro che affronta i temi della cura, dalla chemioterapia alla radioterapia. Lo abbiamo letto insieme.

Il libro si intitola “La pazienza dei sassi” e spiega molto bene ad un bambino cosa sia la malattia di un genitore. Viene illustrato come attraverso le cure il sasso diventi pianta. E per dar seguito a quello che tutti noi abbiamo imparato, tutta la famiglia ora si prende cura delle piante in casa. 

La pianta è una bellissima immagine perché dà l’idea della pazienza e della crescita lenta. I bambini lo hanno capito e sono stati davvero bravi. Loro capiscono le hanno una marcia in più di quello che pensiamo. 

Come è iniziato il tuo percorso di cura?

In ospedale, in Borgo Trento, si sono presi cura di me. Mi sono sentita in ottime mani fin da subito. Chirurgo, oncologi e infermieri, nella loro unità specifica, dove lavorano in equipe in maniera multidiscilplinare, hanno valutato il mio caso. 

Tutti i medici coinvolti, dal chirurgo al chirurgo plastico, dall’oncologo al radioterapista, fino a tutti coloro che nel percorso mi hanno seguito, sono stati molto attenti, disponibili al dialogo e mi hanno illustrato sempre con chiarezza tutto il percorso. Ho trovato persone che mi hanno aiutato in più aspetti. 

Come è stato affrontare l’idea dell’operazione?

Io sono stata operata in dicembre e sono stata a scuola fino alla settimana prima. Questo mi è servito tanto.

Dai primi di novembre al giorno dell’intervento mi è servito lavorare, perché voleva dire affrontare razionalmente la malattia.

Ho detto ai miei ragazzi che me ne sarei andata per problemi di salute poco prima che succedesse. Sono stata accolta da tante dimostrazioni di affetto. Anche da parte dei genitori. 

I ragazzi di terza mi abbracciarono, mentre stavo uscendo dalla classe. In quel momento, a dire il vero, mi sono nuovamente commossa.

Cos’è cambiato dopo l’intervento?

Ho preso una nuova consapevolezza, soprattutto del fatto che mi stavo trascurando, indipendentemente dalla malattia. 

Mi sono quindi detta che dovevo rendere questa esperienza significativa per cambiare me stessa in senso positivo. Dovevo imparare a volermi più bene, a darmi più tempo, ad ascoltarmi, curarmi, staccarmi per un attimo dai bambini, e guardare me stessa. Cosa difficilissima perché io vorrei sempre i miei figli con me. 

Che cosa intendi per “tornare a se stessi”?

Ho deciso che volevo volermi più bene. Come ho detto mi sono fatta aiutare in tutti i sensi. Anche per questo mi sono informata sull’estetica oncologica e ho contattato Giovanna. 

Un’estetista competente a trattare le persone in terapia oncologica, grazie al percorso di Alta Formazione dell’Associazione Professionale Estetica Oncologica (APEO) che ha frequentato.

Seppi di lei mentre stavo facendo le chemio perché vidi un manifesto che parlava appunto della possibilità di cure estetiche per gli effetti collaterali dei trattamenti oncologici.

Nessuno me ne aveva mai parlato. E quando lessi di Giovanna pensai subito di contattarla perché vedevo la mia pelle che si era trasformata durante la cura ed era molto più secca.

Come è stato per te iniziare la chemioterapia?

Ero un po’ spaventata dagli effetti collaterali, ne parlai con i medici. Mi dissero che bisognava avere la sicurezza di aver fatto tutto quello che si doveva per guarire ed essendo in quel momento una mia scelta, decisi di farla.

Avrei anche potuto decidere di non fare la chemioterapia perché il mio intervento era andato molto bene e il carcinoma era stato tutto estirpato. Però non mi sono sentita di rischiare.

Ho terminato la cura qualche settimane fa e ora si vede già la ricrescita dei capelli. Gli effetti collaterali alla fine passano. 

Ho imparato che non bisogna avere fretta. Ho iniziato a prendermi il tempo anche a casa per la cura della mia persona, tempo per fare la doccia con calma, tempo per mettere i prodotti giusti per la mia pelle, tempo per tornare a me.

Tutto quello che è successo mi ha insegnato che ho bisogno di tempo, ed è una cosa che ci  dimentichiamo tutti. C’è sempre troppo da fare, c’è sempre da correre per sostenere tutto.

Come è cambiato il corpo e come hai vissuto questo cambiamento?

L’ho vissuto serenamente, con il pensiero che l’importante era concentrarmi sul volermi bene. 

Il mio corpo è cambiato e continuerà a cambiare. Ci sono delle attenzioni che dovrò avere sempre in futuro, come per esempio per il mio braccio dove sono stati tolti i linfonodi. 

Dovrò essere attenta a non prendere punture, al sole, magari non potrò più fare esattamente tutto ciò che facevo prima. Ma è una cosa che non mi spaventa.

Il mio corpo negli anni è già cambiato molto e continuerà a farlo. Non ho vissuto il cambiamento come un problema. 

Quello che ora mi piacerebbe è poter togliere finalmente il foulard e sgonfiarmi un po’ in viso per poter iniziare ad avvicinarmi alla mia normalità.

Come hanno vissuto i tuoi figli il cambiamento di aspetto?

Premetto che ho una parrucca ma non l’ho mai utilizzata. Ho preferito mettere un foulard. Mi sento a mio agio così, esco normalmente in questo modo e ai bambini l’ho spiegato.

I piccoli mi vedono tranquillamente senza capelli, invece la più grande fa più fatica, preferisce vedermi con il capo coperto. Io in questo ho fatto molto attenzione, ho ascoltato e accettato tutto quello che mi hanno chiesto.

Ci parli dei trattamenti di estetica oncologica che stai facendo con Giovanna?

Ho scelto di intraprendere questo percorso sempre nell’ottica di tenermi in forma e di prendermi cura di me.

La prima volta ho fatto un linfodrenaggio che ha eliminato subito le terribili occhiaie che avevo. Quando mi vidi allo specchio mi stupii a tal punto del risultato che dissi: “ sono nel posto giusto”.

Giovanna mi ha aiutato tantissimo anche nella cura della pelle. Quando sono arrivata nel suo Istituto la mia pelle era disidrata e si sfogliava in tanti punti e anche questo aspetto è migliorato molto.

Inizialmente comunque ci siamo concentrate sulla cura delle mani e dei piedi, perché avevo una tossicità farmacologica evidente, che per me era il problema più grave. Le mie unghie infatti avevano preso un colore bluastro con pus maleodorante. 

Giovanna mi consigliò e mi spiegò subito una pratica di autocura adatta al mio problema. Dopo due, tre giorni vidi già un netto miglioramento, soprattutto per quanto riguarda l’odore. Così ritornai a mostrare e usare normalmente mani e piedi, senza preoccupazione e senza vergogna. A quel punto mi fece un’adeguata pedicure e manicure per prevenire e migliorare ulteriormente lo stato delle mie unghie. 

Successivamente ho iniziato a prendermi cura del viso, secondo alcuni step consigliati da Giovanna, soprattutto per eliminare il gonfiore agli occhi

Visto l’arrivo dell’estate, mi spiegò anche di fare molta attenzione al sole e mi parlò della fotosensibilizzazione della pelle. Mi spiegò infatti che è molto importante proteggere la pelle del viso e del corpo per evitare l’insorgenza di ipercromie localizzate

In prossimità della radioterapia mi suggerì un altro trattamento con prodotti consigliati e mi spiegò come stendere la crema sul mio corpo e per quante volte al giorno ripetere la pratica per evitare rossore o addirittura ustioni alla pelle. 

Sono cose che nessuno ti spiega e invece sono importantissime per il nostro corpo e la sua salute.

Penso che Giovanna sia una professionista molto preparata e qualificata che con molta semplicità rende il percorso di guarigione dagli effetti collaterali molto più facile e alla portata.

Ora che ho terminato tutto il mio percorso per arrivare alla guarigione fisica continuo a frequentare l’istituto di Giovanna perché mi sento sicura e ho fiducia nei suoi trattamenti e nei suoi consigli. E, come mi ripete sempre lei, ho anche imparato a prendermi cura di me nell’ottica che nella vita ci vuole anche un po’ di sano egoismo.

Inoltre è una persona con cui su può parlare di tutto ed è come un’amica. Mi sono confrontata anche su altri aspetti, come quello nutrizionale. Anche su questo punto è molto attenta.

Presso il suo Istituto ho trovato inoltre prodotti eccezionali per la mia cura quotidiana, per la mia idratazione e Giovanna mi ha spiegato sempre con attenzione la loro funzionalità e come usarli. Mi ha per esempio insegnato come massaggiare il cuoio capelluto per favorire la ricrescita dei capelli.

Hai iniziato le cure estetiche contestualmente alle cure chemioterapiche?

No, iniziai qualche mese più tardi, perché vidi il suo manifesto in ospedale solo qualche tempo dopo, in occasione del mese di sensibilizzazione per la festa delle donne. 

Sarebbe stato molto utile iniziarle contestualmente alla chemioterapia per prevenire alcuni sgradevoli effetti e aiutarmi fin da subito. Sarebbe stato davvero importante.

Per questo sono convinta che ci vorrebbe un ambulatorio di estetica oncologica anche in ospedale, al pari del nutrizionista e della psicologa. Serve perché la pelle e la forma del corpo sono esse stesse benessere. Ed è molto importate vedersi allo specchio ed essere contente di se stesse, questo aiuterebbe a vivere il percorso di cura in maniera diversa, meno traumatica, più dolce.

Cosa è cambiato oggi dalla Michela di un anno fa?

A volte dico a me stessa che questa è un’altra vita, ma poi sento che la persona che si guarda allo specchio è sempre la stessa, più consapevole e forse migliorata. 

A volte guardo con nostalgia allo scorso anno, quando eravamo tutti assieme al mare, sotto il sole senza pensieri. Ma poi ragiono e vedo si tratta sempre della stessa persona, più positiva e più capace di vivere il momento presente. 

E’ cambiato infatti che sto con i mie bambini e con mio marito con una certa diversa pienezza, me li godo.

Sono più consapevole del mio corpo, di quello che mangio, di quello di cui ho bisogno. Ho ricominciato a leggere, a fare passeggiate, a rigenerarmi. 

Dopo questa tua esperienza cosa ti sentiresti di consigliare…

Di ricordarsi sempre di volersi bene a prescindere dalla malattia. Evitando di farsi troppe domande e di andare avanti. 

Siamo tante, purtroppo. Quando vai in ospedale ti accorgi che non sei l’unica e quindi continuare ad interrogarsi potrebbe essere controproducente.

Consiglio di prendere l’opportunità di farne un’esperienza di crescita personale, quindi di viverla il più possibile in maniera positiva. E di farsi aiutare, sempre, da tutti.

Per quanto riguarda l’aspetto estetico, consiglio di cercare di essere più belle che si può, perché anche se a qualcuno potrebbe sembrare un fattore secondario, questo è invece un aspetto molto importante sul cammino della guarigione.

Se vuoi maggiori informazioni sui trattamenti specifici di estetica oncologica, contatta Giovanna Olivieri.

Carmen Santi

Per Michela

E Giovanna Olivieri