La storia di Tatiana: dalla scoperta della malattia al viaggio interiore che l’ha portata a riscoprirsi e a prendersi cura interiormente ed esteticamente di se stessa.

Se dovessi parlare di lei senza averla conosciuta, parlerei comunque dei suoi occhi, azzurri, perché dicono alcune cose che nella trasparenza non riesci a definire ma che si intonano subito al suo sorriso. Un sorriso che si apre per illuminare la stanza, emanando una tranquillità che rimette immediatamente tutto in pace con il mondo. 

Se dovessi dire il suo nome, lo cambierei, per rispettare la sua vita e il suo mondo. Ma al di là della sua serenità, lei è una combattente, e forse la serenità che si porta addosso è proprio il risultato della sua personale battaglia. E proprio per questo non teme di dirlo, il suo nome, e di raccontare la sua storia.

Tatiana, una ragazza di 41 anni a cui nel luglio del 2018 è stata diagnosticato il morbo di Paget al seno, una rara forma di neoplasia della mammella, che, non scoperta in tempo, l’ha portata ad un intervento chirurgico e alle cure chemioterapiche preventive che si sono concluse 9 mesi più tardi.

La sua storia potrebbe essere quella di tante, ma invece è la sua, e proprio questo senti quando lei ti parla. “E’ toccato a me” e percepisci che quando ti tocca sulla pelle e senti con mano il sottile confine tra la vita e la morte, cambia tutto.

E certo, cerchi spiegazioni e ti chiedi perché la ginecologa non abbia capito in tempo di cosa si trattasse e perché la mammografia sia stata fatta sei mesi dopo, peraltro solo come controllo di routine, mentre tutto poteva essere risolto con una biopsia al momento del manifestarsi dei primi sintomi. 

Ma non è andata così, quindi ad un certo momento, Tatiana ha smesso di farsi domande senza risposta e ha cambiato prospettiva. Ha iniziato a chiedersi se dietro a quella malattia non ci fosse un motivo, qualcosa che lei, della vita, doveva ancora imparare.

Proprio questo pensa Tatiana oggi e noi scriviamo di lei perché oltre alle tante domande che ha ancora dentro, ha saputo fare un viaggio che condividiamo con voi. Un viaggio che può essere d’aiuto anche ad altri che stanno vivendo la sua stessa situazione o che hanno bisogno di capire quella dei propri cari, dei propri amici, o semplicemente cosa significhi vivere con una malattia. 

Siamo certi anche che non ci siano soluzioni universali e che ci sia solo la strada che ognuno decide di intraprendere per sé, nella condizione particolare in cui si trova, con gli strumenti che ha e con la consapevolezza che tra di noi ci si possa ancora sostenere. 

Tatiana, mi racconti come è successo? Come ti è stato diagnosticato il carcinoma? 

Tutto è partito con la una fuoriuscita di liquido ambrato dal capezzolo. La ginecologa all’epoca mi diagnosticò una dermatite. Il capezzolo si sgretolava e avevo prurito. Per quasi un anno ho continuato una cura lenitiva fino al momento in cui ho manifestato i miei dubbi. Vista l’età mi è stata ordinata una mammografia, che non essendo urgente, feci qualche mese più tardi. 

La dottoressa che la eseguì preferì fare un’ulteriore biopsia di controllo visto il seno fibrocistico. In quel momento si rivelò un carcinoma duttale in situ

Mi dissero che era stato preso in tempo, ma che essendo un carcinoma che poteva diffondere metastasi in altri organi vitali, era preferibile controllare anche l’altro seno, dove infatti aveva già iniziato a formarsi. Essendo agli inizi riuscirono però a toglierlo al momento stesso della biopsia. Fu rimosso completamente senza bisogno di altre cure. 

In quel momento pensai con rammarico a cosa sarebbe successo se avessero visto in tempo anche il primo carcinoma. 

Ti ricordi il momento della diagnosi?

Era metà luglio e avevo davanti a me alcune dottoresse. Mi avevano chiamato prima del canonico mese di attesa per la risposta, ma nonostante questo non mi aspettavo questa diagnosi. Sono sempre stata sana e in quel periodo stavo assistendo mio padre che viveva un aggravarsi della propria malattia. Lui conviveva con un tumore da nove anni, ma il suo stato era peggiorato negli ultimi mesi.

Ricordo queste parole: “Mi dispiace tanto…”. E poi ricordo che ebbi una sensazione strana: vedevo le persone ma non le sentivo, guardavo le loro labbra muoversi, a sprazzi sentivo parole sconnesse. Mi dissero che avevo un carcinoma ma che lo avevano preso in tempo e che ero fortunata. Piansi e me ne vergognai, perché non dovevo abbattermi dal momento che potevano curarlo. 

L’altra cosa che ricordo è che mi sentii subito circondata dalla vicinanza e dell’amore dei medici dell’ospedale di San Bonifacio. Sentii subito una sensazione positiva. 

Memore di non essermi ascoltata prima, volli però sentire un altro parere e mi rivolsi all’Ospedale Maggiore di Borgo Trento. Lì incontrai la dottoressa che successivamente mi avrebbe operata e quando mi visitò diagnosticò subito il carcinoma e per la prima volta mi parlò della malattia di Paget. 

Per una serie di circostanze mi sono appoggiata quindi all’ospedale di Borgo Trento, dove ho incontrato medici e personale di reparto di grande umanità. Li ringrazio ancora per il calore e l’ambiente che hanno saputo creare attorno a me. La dottoressa, il giorno del mio intervento, superò sé stessa perché dopo una giornata pesantissima, rientrò in ospedale per ricontrollare i miei drenaggi che non funzionavano come avrebbero dovuto.

Dopo quanto ti hanno operata?

La diagnosi è arrivata a metà luglio e l’intervento il 4 settembre, posticipato perché il 20 agosto mio papà è passato a miglior vita.

In questo periodo, in questa attesa, dopo che è venuto a mancare tuo padre, c’è stato un momento in cui hai avuto paura?

Forse proprio perché ero impegnata a seguire il mio papà, non ricordo un momento particolare in cui ho avuto paura. La mia malattia era in secondo piano. Ad oggi penso mio padre mi abbia dato la vita. Lui è mancato il 20 agosto quando ho fatto gli esami preparatori per l’intervento e io penso che la mia forza provenga da lui.

Non ho mai avuto momenti di cedimento profondo, non ho visto il baratro, le domande ci sono. Sento che da questa malattia devo capire qualcosa. Devo ancora scoprire cosa, ma forse il percorso è iniziato con il prestare attenzione a me stessa e con il prendermi cura di me.

Ci sono stati momenti più duri rispetto ad altri?

Alcune notti. Nei miei dialoghi interiori, quando le domande si facevano pesanti e non potevo che piangere. Ma poi al mattino era come se quelle domande perdessero forza e io ritrovassi ogni volta la forza di affrontare tutto. Per questo penso che mi abbia e mi stia aiutando mio papà.

Dopo hai iniziato a fare le cure chemioterapiche. Cosa è successo in quel momento?

Sì, quella è stata un’altra grande prova. Non me lo aspettavo, eppure ad ottobre mi dissero delle cure preventive. Fu un brutto colpo, una giornata difficile. Anche allora ero andata in ospedale da sola e ho dovuto trovare di nuovo un senso a tutto questo. 

Mi sono fatta forza e ho detto a mia madre che avevo bisogno di essere sostenuta in quel momento. L’ho destata dal suo dolore, perché avevo bisogno di aiuto. Quel giorno fu molto impegnativo. 

Il giorno successivo, dopo aver ritrovato le forze, capii che c’era ancora una volta un senso. Pensai che dentro di me dovevo consolidare quel cambiamento che già stava avvenendo.

Devo dire inoltre che sono stata fortunata perché una volta iniziata la chemioterapia non ebbi effetti sgradevoli, come nausea e vomito. Questo mi aiutò a capire che ognuno vive le cose in maniera diversa, fisicamente e psicologicamente.

Come è stata la prima volta?

Avevo paura per l’inserimento del PICC, perché alcuni pazienti mi avevano allertata sul fatto che mi avrebbe fatto male, ma io non sentii nulla. Strano a dirsi, proprio io che ho una paura folle degli aghi. Questo confermò ancora una volta che non sempre è un bene ascoltare le persone, perché ognuno vive la cosa a modo suo.

Da allora ho infatti imparato ad ascoltarmi di più. A capire cosa è bene per me, a conoscere anche meglio le persone, ad allontanarmi quando sento cariche negative. In quel momento faccio qualcosa di nuovo: penso prima al mio bene.

Vivere senza traumi indotti è importante in questo processo. Questo è il modo di vivere la terapia per me. Ho deciso di non farmi travolgere da quello che altri pazienti mi raccontano. Questa è la mia situazione e sono io a vederla con la mia telecamera. 

Quante sedute di Chemioterapia hai fatto?

Ne ho fate 4 di forti, con cadenza di 21 giorni, e 12 di meno forti a cadenza settimanale. Ho finito nei primi giorni di giugno. Come tutti, anche il mio, è stato un percorso non standardizzato: ci sono stati alcuni intoppi, come il calo dei globuli bianchi e quindi l’attesa e l’allungamento dei tempi.

Come è cambiato il tuo corpo?

Innanzitutto non ho avuto eclatanti perdite di peso, solo qualche chilogrammo in seguito all’intervento. Ma il corpo si debilita nelle forze, è più affaticato e c’è ritenzione idrica.

Ora sono seguita anche da una nutrizionista e aderisco al progetto Rebeca presso l’Ospedale di Borgo Roma, che prevede una sorta di programma stilato sulla mia fisicità per contrastare gli effetti delle cure. Si tratta di un programma di allenamento alternato tra cyclette e pesi.

Aderisco a questo progetto per me, ma anche per la ricerca che i medici stanno facendo attraverso me, in modo che anche loro abbiano un riscontro che possa aiutare a conoscere come contrastare meglio gli effetti delle cure.

Stai avendo risultati?

Sì, vedo risultati. Alcune mattine, dopo la chemio, facevo più fatica a fare attività, quindi riducevo il tempo di allenamento, ma non l’ho mai saltato. 

Mi ha aiutato a contrastare gli effetti della chemioterapia: rigidità alle gambe, pesantezza e affaticamento e in alcuni momenti una sorta di pressione all’altezza del cuore.

Lo shock della perdita dei capelli è stato tra le cose più difficili da affrontare? 

Ho imparato ad ironizzare. Non nego che al momento del taglio della prima ciocca mi sono sentita inghiottire, ma c’è stata una persona accanto a me, anche in questo caso la persona giusta al momento giusto, che sapeva e conosceva bene questo momento e mi ha sostenuta. E poi ho preso forza, l’ho affrontato. 

Sono tornata a casa, con il mio capo coperto da una parrucca. Ho ironizzato con mio fratello. Abbiamo riso assieme della nostra somiglianza, in quel momento.

L’ironia è stata la chiave che mi ha permesso di vivere con più leggerezza quel forte impatto. 

Vedersi con pochi capelli è dura, ma nel momento in cui decidi di rasarti la testa l’impatto è forte. Poi succede che ti accetti e che impari a piacerti nel tuo nuovo mondo.

Come è avvenuta la scoperta dell’estetica oncologica e l’incontro con Giovanna?

Avevo visto inizialmente l’articolo sulle cure estetiche oncologiche e l’intervista a Giovanna nel reparto di Oncologia di Borgo Trento. Avevo già fatto due chemio quando ho rivisto un manifesto che ne parlava, sempre in ospedale. Allora mi son detta che dovevo andarci. 

Così ho fissato il primo appuntamento. Sono andata nel suo centro di Vago di Lavagno e abbiamo parlato. Ci siamo confrontate su quanto stavo vivendo e su quali fossero i problemi che riscontravo e abbiamo concordato alcuni trattamenti, che sto tuttora facendo, e che per me sono stati importantissimi visto il riscontro che ho avuto.

Che tipo di trattamenti hai fatto o stai facendo?

Sto facendo alcuni trattamenti al viso, perché si è manifestato rush cutaneo e rossore. I miei capillari tendono a rompersi, quindi cerchiamo di calmarli in modo da evitare che la fragilità capillare si espanda.

Faccio altri trattamenti al viso per la fotosensibilizzazione, per evitare macchie iperpigmentate, arrossamenti ed eritemi e trattamenti nutrienti e sopratutto lenitivi.

Mi sottopongo anche a trattamenti manuali di linfodrenaggio al viso, al collo e al decollette.

I prodotti che Giovanna utilizza sono studiati e mirati per chi sta facendo questo percorso e sono prodotti per il viso e corpo con effetto protettivo, lenitivo, idratante, utili anche per controllare il prurito.

Il tutto viene fatto per prevenire e gestire gli effetti secondari delle cure, migliorando la qualità della vita e aumentando l’aderenza alle cure stesse.

Lo scopo principale del trattamento della tossicità cutanea è quello di ripristinare le barriere cutanee in tutti i suoi componenti.

Con Giovanna ho iniziato anche il trattamento corpo con pressomassaggio a causa della ritenzione idrica, particolarmente concentrata negli arti inferiori.

Infine mi ha insegnato a prendermi cura della sindrome mano-piede, perché con i farmaci chemioterapici ho iniziato ad avvertire formicolii nel palmo delle mani e nei piedi, inoltre bruciore, gonfiore ed eritema in tutte le zone di maggior pressione, appoggio e sfregamento.

Quanto è stato importante per te nella malattia prenderti cura di te stessa?

La cura di sé ti dà forza, ma devi avere forza per farla. Devi avere forza e coraggio. Perché non è scontata. 

In questo anno ho vissuto un momento particolare, ho scrutato nel mio profondo. Ho riconosciuto le mie paure, anche se nel buio a volte ho fatto fatica ad entrare. Comunque l’ho fatto e ne è valsa la pena, perché così ho imparato ad affrontare le cose che mi spaventavano di più guardandole in faccia e non proiettandole all’esterno. 

Ho capito che le paure più grandi sono quelle che abbiamo dentro di noi. Capisco anche che non sia facile. Ma ora so che si può fare.

Il fatto di prendersi cura esteticamente di sé è una partenza ed è un circolo. Puoi cominciare da questo, per ritrovare poi te stessa. Nel mio caso è iniziato anche da un’introspezione personale e poi il mio prendermi cura è stato un grande aiuto. 

Quella del mio corpo è una bellezza che cerco per star bene, per sentirmi bene. Si tratta di una cura che ha un impatto psicologico dentro di me. Un impatto positivo che è fondamentale in questo momento.

Un messaggio a chi ci legge?

All’inizio quando ti viene diagnosticata una malattia come la mia, è comprensibile che ti crolli il mondo addosso. Sei praticamente in tilt, e non sai davvero cosa fare. Però consiglio di credere nella profondità di sé stessi. Perché le forze ce le abbiamo dentro e possiamo superare ogni cosa. 

Dentro ad ognuno di noi c’è un mondo immenso. Ho scoperto forze che non pensavo di avere e tanta bellezza, pur nella drammaticità del momento. 

Anche se ho sperimentato il confine veramente sottile tra la vita e la morte e anche se i momenti di scoraggiamento ci sono stati, ho sentito comunque una grande forza dentro per non mollare e anche ora dico a me stessa, e a tutti, una cosa che mi sono ripetuta spesso: “Tu hai tutto, non ti manca nulla”.

Carmen Santi

per Tatiana Spezie

e Giovanna Olivieri

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